sabato, luglio 14, 2007

Giudicare le novità, mestiere difficile...


Quando ragioniamo di nuovi strumenti e soprattutto di nuovi medium abbiamo la tendenza a pensare che tutto sia nuovo e che i vecchi paradigmi non valgano più: l'esperienza di tanti anni e di tante novità mi ha insegnato che questo atteggiamento, pur molto naturale, non è sempre corretto e rischia di essere fuorviante.
Personalmente credo che i cambiamenti siano molto più lenti e molto meno radicali di quanto siamo spesso portati a credere e che valga sempre la pena cercare di capire quanto di nuovo ci sia veramente in quelle che ci appaiono radicali novità.

Qualche giorno fa ho letto un post di Mafe si Mestrini per caso e lo ho trovato particolarmente stimolante.

Mi è frullato per la testa spesso e credo si presti a qualche osservazione che provo a riportare qui di seguito anche se non su tutte ho ancora una visione chiara e mi restano molti dubbi.

Quando parliamo di applicazioni sociali, come i blog o le chat o Twitter, tendiamo fatalmente a confondere il medium con l'esperienza: è come chiedersi "a cosa serve un libro?" o "è bello un film?". La qualità del medium dipende dalla qualità del contenuto, il che complica ulteriormente le cose quando il contenuto non è predefinito e uguale per tutti. Abituati alla stampa, che produce copie oggettivamente identiche, tendiamo a porci di fronte a una rete come se fosse una fonte unica e a scambiare il nostro vissuto con la realtà del fenomeno (detto più semplicemente, confondendo "i blog che leggo" con "lo strumento blog").

Se è assolutamente condivisibile l'idea che in uno strumento di comunicazione i contenuti sono estremamente importanti credo sia un errore pensare che non lo sia anche il mezzo: una valutazione corretta dovrebbe tenere conto sia dei contenuti che delle caratteristiche dello strumento con i quali li espongo e li comunico agli altri.
Il giudizio sulla Divina commedia non sarebbe certo lo stesso se invece di leggerla su di un pezzo di carta la ricevessimo come segnale in alfabeto Morse come non sarebbe lo stesso se invece di leggerla la ascolassimo recitata da Benigni.
In realtà è perfettamente lecito affrontare il problema dal punto di vista del solo mezzo come lo è affrontarlo dal punto di vista dei contenuti, se si parla di esperienza utente le due cose vanno messe insieme e quadrate con le caratteristiche specifiche dell'utente stesso. Quattroruote parla di automobili senza considerare il viaggio, Gulliver parla di viaggi senza considerare le caratteristiche del mezzo di trasporto, una buon viaggiatore sposa le due cose e decide per esempio di guidare negli USA e di cercarsi un autista in India.

Non è possibile leggere tutti i blog o vedere tutte le foto di Flickr e nemmeno averne un'esperienza estesa e condivisa e stabile nel tempo, simile a quella che abbiamo per i libri o per le soap opera (il che ci permette di dire che, in genere, i primi hanno più valore della seconde). Questo - forse - verrà con il tempo. Ma forse no: un medium sociale che associa contenuti sociali a contenuti informativi, alto e basso, permanenza e volatilità, spontaneità e interessi e in cui ognuno aggrega la propria versione del reale potrebbe essere inconoscibile qualitativamente e restare meramente "descrivibile" (in termini di cosa permette di fare e cosa no e come, che non è poco).

Vero, ma non è del resto possibile nemmeno leggere tutti i libri o tutti i giornali! Esistono documenti stampati con volatilità bassissima come i libri, prodotti stampati con altissima volatilità come i giornali che il mattino dopo servono per pulire i vetri, prodotti editoriali a volatilità estrema come il telegiornale prima dei podcast.
Ognuno di noi approcciando certi libri ed altri no o certi giornali ad altri no aggrega una sua visione del tutto personale.
Anche l'esperienza di lettura è unica per ognuno di noi: la cosa è ancora più chiara se pensiamo all'inizio della vita intellettuale di un ragazzino: di solito non c'è interesse per la lettura fino a quando non si incontra IL libro che te lo scatena ed è una esperienza unica per ognuno di noi ed è esattamente quanto accade per la musica.
La rete non è in questo specifica, tutta la nostra vita è fatta di esperienze individuali che fanno si che alla fine ognuno scelga certi ristoranti e non altri, certi bar e non altri, certe mete turistiche e non altre. L'unica vera differenza sta a mio modo di vedere nella relativa novità del fenomeno e nel fatto che esistono ancora molti neofiti che esprimono giudizi sulla base di esperienze troppo limitate, ma la cosa vale anche nel mondo reale: io posso esprimere giudizi molto approfonditi sul valore del cibo in paesi come la Francia, gli Stati Uniti, l'India o il Giappone dove sono stato spesso mentre se cercassi di esprimere un giudizio sul cibo che viene offerto in Lapponia dove o pranzato due volte in tutta la mia vita il mio giudizio sarebbe inevitabilmente viziato dalla limitatezza della mia esperienza.

Vediamola da un altro punto di vista: Internet è un metamedium sociale che mette insieme la distribuzione/fruzione di contenuti non mediati con la frequentazione di un ambiente vissuto cognitivamente come "luogo". La qualità di un'esperienza sociale dipende sicuramente anche dalla qualità dell'ambiente in cui si svolge, che però non può neanche essere considerata una condizione necessaria: è sicuramente meglio essere tristi e soli alle Maldive che in coda in tangenziale, ma con la giusta compagnia si può essere molto più felici in coda in tangenziale che alle Maldive.

Il termine Internet qui mi sembra poco appropriato, credo che sia meglio parlare di WEB, due cose molti diverse che spesso vengono sovrapposte, come a me non piace l'uso, pur molto frequentato, del termine metamedium. Di solito meta indica un'altra cosa: metadato è un dato usato per descrivere dati come in XML, metalinguaggio è un linguaggio usato per descrivere altri linguaggi come nel caso delle grammatiche formali, WEB non è, a mio modesto modo di vedere, un metamedium, ma un medium riconfigurabile che permette la implementazione di diversi protocolli di interazione.
E' certamente vero che l'esperienza non dipende dal medium, ma è peraltro anche vero che un medium può avere caratteristiche diverse da quelle di un altro anche indipendentemente dall'uso che ne voglio fare.
Credo che tutti possiamo concordare sul fatto che TCP/IP ha caratteristiche intrinsecamente migliori di quelle della trasmissione in codice Morse come la fibra ha caratteristiche intrinsecamente migliori di quelle del doppino.

Twitter, blog, second life, flickr in sè non hanno promesse nè garanzie di qualità dell'esperienza: questa dipende dalle persone e dalla qualità (ingestibile) del contenuti/esperienza che popolano la mia rete (diversa da quella di tutti gli altri). Credo che la maggior parte delle difficoltà di interpretazione dei media sociali da parte di chi ne rimane al di fuori (o ne ha un'esperienza parziale) sia proprio accettare che l'esperienza di ognuno è unica e imparagonabile a quella degli altri, perché ciascuno legge e segue un insieme diverso di persone (e con motivazioni diverse). E' vero anche a partire da medium stampati (sono io con la mia personalità che completo un libro, un film, un'opera d'arte etc), ma qui alla personale interpretazione aggiungiamo l'incredibile complicazione di un'esperienza per definizione sempre e comunque unica, personale e mutevole.

In realtà questa non è una caratteristica della rete: lo stesso libro letto da cento persone diverse provoca reazioni anche diversissime proprio perché la lettura è una esperienza assolutamente personale. Anche qui è comunque possibile cercare di formulare un giudizio sulla natura dello strumento anche indipendentemente dai contenuti: personalmente credo che l'approccio antropomorfo, quello cioè dove il modello è la realtà fisica, sia molto accattivante all'inizio, ma molto limitato dal fatto che si importino nell'agilissimo e libero mondo dei bit le limitazioni imposte dagli atomi.
Anche per questo qualunque valutazione di merito dei contenuti e del valore di un media sociale è, nella migliore delle ipotesi, ingenua: quel che si valuta è in realtà la propria personale selezione e la propria capacità di trovare persone interessanti, o di trovare interessanti le persone.
Concludendo credo che quanto esposto da Mafe sia sostanzialmente vero, ma il pensare che si tratti di qualche cosa di specifico della rete sia fuorviante: gli strumenti cambiano rapidamente, ma il cervello della gente lo fa in modo molto più lento e di conseguenza le dinamiche sono molto più affini a quelle che già conosciamo.

3 commenti:

  1. un commento sulla prima parte del post: vedendo parecchie community ci si rende conto che lo strumento è molto meno importante di quanto sembri. se la funzione (lo scopo percepito, i contenuti) sono utili, la maggior parte degli utenti è disposta ad attraversare un oceano per usarlo. dimostrazione è myspace, probabilmente l'ambiente meno usabile della storia di Internet.

    e anche lo scopo di un tool è soggettivo: capita spessissimo che strumenti progettati per fare qualcosa siano usati per fare qualcosa di completamente diverso. esempio classico è flickr che nasce prima come gioco poi come chat, o lo stesso twitter, usato per chattare a dispetto delle intenzioni originali dei progettisti. quindi in qualche misura, parafrasando Matrix, lo strumento non esiste, ovvero l'uso è lo strumento. per questo occuparsene è molto meno importante che occuparsi dei contenuti e delle modalità di utilizzo. questo lo stanno capendo ancora in troppo pochi: la progettazione è un atto incerto e in divenire come lo è la definizione di un tool.

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  2. Sono d'accordo, se parliamo di community di fatto poi i contenuti non sono la parte più importante, credo che determinante sia la capacità del sistema di generare rapporti tra gli utenti, la vera driving force del fenomeno.

    Il fenomeno è complesso ed autoalimentante: se una community anche scacioffa nelle caratteristiche di utilizzo si riempie per qualche motivo di gente interessante alla fine questo diventa un fattore determinante.

    Nelle tecnologie è sempre successo così: le automobili usano oggi stupidamente petrolio solo perché tutti lo fanno e la base installata finisce per comandare e rendere velleitaria l'idea di cambiare. Del resto nel mondo dei grandi sistemi si dice che il padre eterno ha creato il mondo in soli sei giorni perché partiva da zero!

    Il fatto che un tool possa cambiare scopo non è una novità della rete: il telefono venne pensato per le segretarie dei manager perché si riteneva che loro fossero troppo impegnati per usarlo direttamente.

    Pare che Bell si stupì molto quando i manager lo vollero sulla scrivania e si infuriò quando venne a sapere che le mogli facevano la sera più traffico dei mariti!

    Edison pensò il fonografo come strumento per insegnare le lingue, l'ascolto della musica venne dopo senza che fosse ipotizzato inizialmente.

    Questo non vuole dire che non ci si debba occupare dello strumento, ma che si deve essere pronti con mentalità flessibili quando si immagina un utilizzo e si devono monitorare le reazioni e i bisogni degli utenti.

    Se ricordi Norman teorizzò la mimesi dello strumento nel suo bellissimo volume "The invisible computer", ma se da un lato è vero che lo strumento ottimale è quello del quale l'utente non ha percezione diretta in quanto pone tutta la sua attenzione nell'uso, dall'altro dobbiamo considerare che senza strumento non c'e' uso.

    In altre parole analizzando il fenomeno senza tenere in considerazione ANCHE la natura e le caratteristiche dello strumento è indispensabile, focalizzarsi troppo sullo strumento sbagliato.

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  3. Sono sostanzialmente d'accordo con molto di ciò che dici, mai pensato (o scritto) che quanto dico sia specifico del web (ma risottolineo, di Internet, vale per la posta elettronica, per le chat, per i newsgroup, anzi, fino al 1996 valeva soprattutto per il non-web). Che il mezzo sia importante non lo scopriamo certo oggi ;-)
    Il punto caldo è che *questo* mezzo non è oggettivamente identico per i suoi fruitori come può essere "Anna Karenina", assomiglia di più, se vuoi, a uno spartito che può essere suonato in migliaia di modi diversi.

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